Maria Giovanna Dessì

Maria Giovanna Dessì

Maria Giovanna Dessì è una giornalista pubblicista e project manager. Lavora presso Associazione Casa Emmaus Impresa Sociale dove è la responsabile dell'ufficio comunicazione e progettazione. Esercita l'attività di libera professionista nel campo della formazione.
E' presidente e volontaria dell'Associazione Elda Mazzocchi Scarzella

URL sito web: https://mariagiovannadessi.it/

L'essenza, nella semplicità

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Alice ha 12 anni. Lo scorso autunno ha realizzato questa intervista per la sua ricerca di Scienze. La semplicità delle parole di Fabrizia e l'importanza della tematica mi ha spinto a chiedere ad entrambe l'autorizzazione a pubblicare questo articolo, che potrebbe essere utile a tante mamme e papà e non solo. Domani, 15 marzo, ricorre inoltre la giornata di sensibilizzazione contro i Disturbi del Comportamento Alimentare, un altro motivo per condividere questo articolo che somiglia tanto nella semplicità quanto nella completezza ad entrambe le protagoniste di cui vi ho parlato.

Fabrizia si è laureata in psicologia clinica a Roma presso l’Università Pontificia Salesiana ed è attualmente specializzanda in psicoterapia presso la scuola Ifrep di Roma con orientamento analitico transazionale socio cognitivo, ossia un approccio integrato. Sia per la laurea triennale, che per quella specialistica, ha scelto di approfondire il tema dei DCA, in particolare nell’ultima tesi ha svolto una ricerca empirica su alcune componenti intrapsichiche in un campione di pazienti con DCA. Dopo la laurea ha svolto il tirocinio professionalizzante presso il centro residenziale “Palazzo Francisci” di Todi, nel quale ha proseguito, dopo l’abilitazione alla professione, la sua esperienza lavorativa per circa due anni. Fabrizia è oggi la coordinatrice della Struttura "Lo Specchio" di Iglesias, ha 28 anni.

I disturbi alimentari

Intervista  di Alice Caterina Soletta a Fabrizia Falco, psicologa psicoterapeuta in formazione 

I disturbi alimentari sono patologie psichiatriche complesse caratterizzate da alterazione delle abitudini alimentari e eccessiva attenzione per il peso e le forme corporee. In Italia ne soffrono più di 3 milioni di persone.

I disturbi dell’alimentazione, seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali, vengono considerati patologie a genesi multifattoriale, in cui fattori di rischio di vario tipo renderebbero alcuni soggetti maggiormente vulnerabili. Gli elementi di rischio coinvolti nell’insorgenza di un DCA si possono suddividere in: socio-culturali, familiari ed individuali.

Alcuni, considerati fondamentali nel determinare l’aumento di incidenza dei DCA, sono il corpo e la pressione culturale verso la magrezza; il ruolo dei mass media; il cambiamento del ruolo sociale della donna.

Spesso il modello di alimentazione disturbata si ritrova nella famiglia d’origine. È molto comune che un genitore abbia lottato a lungo per il controllo del peso e si sia sottoposto a diete; ciò ha numerose conseguenze tra le quali la principale è un effetto di modellamento sulla figlia che imita direttamente il comportamento del genitore.

E’ probabile che le ragazze con DCA abbiano madri con forte tendenza alla magrezza, paure relative all’immagine corporea e comportamenti bulimici frequenti. Alcune ricerche hanno dimostrato che le madri delle bulimiche hanno un peso corporeo inferiore rispetto alle madri di ragazze che non soffrono di DCA. Tuttavia, un trascorso di anoressia o bulimia nervosa in un genitore non determina necessariamente il disturbo nella figlia, specialmente se il genitore ha raggiunto la guarigione, risolvendo le proprie difficoltà legate al cibo e all’immagine corporea. Le ricerche di Minuchin hanno individuato la presenza, nelle famiglie con problemi di anoressia, di quattro modelli di interazione disfunzionale: invischiamento, iperprotettività, evitamento del conflitto, rigidità.

Sono tante conseguenze che i DCA hanno sulla vita della persona: isolamento sociale che impedisce il funzionamento normale della persona, conseguenze fisiche di vario genere come ad esempio difficoltà gastrointestinali, osteoporosi e difficoltà a vivere serenamente momenti conviviali in compagnia.

I DCA essendo patologie psichiatriche necessitano di un percorso di cura ben strutturato svolto da un equipe multidisciplinare con psichiatra, medico nutrizionista, psicoterapeuta. Per questa malattia ci sono vari livelli di cura: ambulatoriale, semi residenziale, residenziale, ospedaliero.

La comunità “Lo Specchio” di Iglesias in Sardegna, è l'unica struttura in Italia residenziale e semi residenziale terapeutico riabilitativa, convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), specializzata nella cura e nella riabilitazione di coloro che sono affetti sia da dipendenza alimentare che da dipendenza patologica. Il Dott. Leonardo Mendolicchio, Medico Psichiatra, Psicanalista uno dei maggiori esperti di DCA in Italia, Responsabile U.O.C. Riabilitazione DCA dell’Istituto Auxologico italiano di Piancavallo, da quest'anno ricopre il ruolo di Direttore scientifico di questa comunità ed ha strutturato, insieme al team di professionisti all'interno di questa comunità, un protocollo innovativo per la contestuale cura di entrambe le comorbilità.

Maggiori info al sito www.lospecchiodca.it

 

 

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Nessun Destino è segnato

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Oggi vi propongo l'intervista allo scrittore Luca Mirarchi, autore del primo libro dedicato a Casa Emmaus, storica organizzazione dedita alla cura delle dipendenze patologiche e all'accoglienza dei richiedenti asilo, nata ai piedi del Marganai.

Per maggiori info su casaemmausiglesias.it

 

Chi è Luca?

«Sono un uomo di quarant’anni che non ha mai smesso di interrogarsi su quello che lo circonda. Non vado d’accordo con chi ha troppe certezze o si colloca su un piano di superiorità nella relazione con gli altri. Il mio lavoro da giornalista mi ha insegnato a pormi in una posizione di ascolto verso gli intervistati. È quello che ho fatto anche durante le interviste che costituiscono gli assi portanti del libro. Pazienti, ex pazienti, familiari, operatori: per me sono tutti accomunati dal fatto stesso di essere umani».

 

Come nasce il libro “Nessun destino è segnato?”

«Ho trascorso un anno collaborando alla comunicazione di Casa Emmaus. Nei primi sei mesi mi sono dedicato soprattutto all’organizzazione di un congresso, “Aprire Orizzonti”, che si è svolto nel novembre 2019. Gli altri sei mesi li ho dedicati principalmente alla realizzazione del libro. L’idea è venuta alla direttrice della comunità, Giovanna Grillo, e io non mi sono tirato indietro, anche se non è stata un’esperienza facile. La professione ti spinge a indagare più a fondo possibile nella storia dell’intervistato, la sensibilità ti fa indietreggiare quando ti rendi conto che stai andando a toccare delle corde emotive sensibili dell’interlocutore. In questo caso le tematiche trattate, il dolore che hanno provato molti degli intervistati e le difficoltà che hanno dovuto fronteggiare nella vita hanno reso l’operazione ancora più complessa: bisognava muoversi lungo un crinale sottile, cercando di equilibrare le due esigenze. È quello che ho cercato di fare. Ognuno di loro mi ha trasmesso qualcosa».

 

Le storie ci aprono a un mondo di cui non siamo i soli abitanti. Di quale mondo ci parla il tuo libro?

«Sono le storie di chi ha smarrito la strada ma ha trovato la forza di mostrare la sua debolezza, il coraggio di farsi aiutare. Sono le storie di persone che spesso provengono da contesti socioculturali fortemente penalizzanti, ma anche quelle di persone che pur non avendo incontrato particolari ostacoli, in apparenza, sono cadute vittime della dittatura delle dipendenze: questo le rende ancora più vicine a noi, perché viene da chiedersi cosa avremmo fatto, se ci fossimo trovati al loro posto. E poi ci sono le storie degli operatori — educatori, psicoterapeuti, psichiatri, coordinatori delle varie strutture — che ogni giorno investono tutte le loro energie nello sforzo di migliorare la vita di persone che la società aveva dimenticato. A prescindere dal risultato che sarà ottenuto. Perché anche solo fare qualcosa per aiutare una persona in difficoltà ripaga dello sforzo che è stato impiegato».

 

Il racconto si colloca nella relazione tra chi narra e chi accoglie ciò che viene narrato. A chi ti rivolgi con questo libro?

«Non avevo in mente un lettore ideale mentre scrivevo. Certo, ho pensato che sarebbero stati interessati gli animi più vicini a tematiche di carattere sociale, ho immaginato che il libro sarebbe potuto diventare un testo utile da presentare nelle scuole, ma essenzialmente quando scrivo cerco soprattutto di fare bene il mio lavoro, il resto viene da sé. In questo caso si trattava di dare voce a chi non ha voce, nel modo più chiaro, neutrale e dettagliato possibile. Chiunque dimostri interesse verso queste pagine mi rende felice».

 

Ogni testo ha un orizzonte postumo che fissa qualcosa per il dopo, qualcosa che prolunga l'esperienza del narratore. Nel caso del tuo libro, quale messaggio miri a lanciare nel futuro?

«Non miro a lanciare nessun messaggio verso il futuro e nemmeno verso il presente. Non sono un politico, non sono una persona religiosa e ho troppo rispetto per l’intelligenza dei lettori. Se un messaggio esiste, si trova nell’onestà di quello che ho scritto, nell’implicita alleanza che si crea fra chi scrive e chi legge. Posso dire però cosa si racchiude nel titolo che ho scelto, “Nessun destino è segnato”. È qualcosa in cui ho sempre creduto: non esiste una vita che non possa essere recuperata, in qualsiasi momento, al di là di qualsiasi cosa sia successa in precedenza. Conoscere il mondo di Casa Emmaus ha rafforzato in me questa convinzione. Come accennavo sopra, parlando degli operatori, in una comunità si concentra lo sforzo delle migliori menti per realizzare un miglioramento che può svanire in un istante. Ma è nella capacità di non smarrire la volontà di agire, nonostante la percezione del dolore del mondo, che secondo me si misura il valore di un individuo».

 

All’interno delle tante presenti nel libro, quale è la storia che ti ha colpito maggiormente?

«La storia di una signora elegante e discreta di circa sessant’anni che nel libro ho scelto di chiamare Fabrizia, per tutelare la sua privacy come ho fatto con gli altri utenti o ex utenti della comunità che mi hanno offerto la loro testimonianza. Mi ha colpito perché apparentemente aveva tutto per essere felice, mentre invece la sua vita si sgretolava senza che quasi se ne rendesse conto, senza che quelli che la circondavano muovessero un dito, forse per quella scarsa attitudine a interessarsi del prossimo che troppo spesso si maschera come discrezione, riservatezza o qualche sinonimo di “buona educazione borghese”. Per aiutare le persone a volte bisogna superare queste ritrosie. Fabrizia poteva essere nostra madre o una nostra zia, nascosta dietro la rispettabilità delle nostre case. Ma in ogni casa, spesso senza rendersene conto, o addirittura col proposito di fare del bene, si mettono in moto dinamiche che possono lasciare cicatrici profonde nel cuore di chi le abita. È un invito che rivolgo a me stesso: fare una domanda in più, se qualcuno non riesce a dire con le parole la sofferenza che rivela il suo sguardo; chiedere cosa c’è che non va, non accontentarsi di risposte evasive, trovare un po’ di tempo in più per capire come si sente davvero chi abbiamo di fronte. Potrebbe valerne la pena».

 

“Nessun destino è segnato” è già un successo. Hai già pensato al seguito?

«Non ancora, e in senso lato non esiste un seguito vero e proprio per un lavoro di questo tipo, come potrebbe avvenire se si trattasse di un prodotto di finzione, di un romanzo o di un film. Però sono rimasto colpito dal favore che lo sta accogliendo e che ogni giorno mi permette di incontrare sensibilità diverse, unite dall’interesse nei confronti di chi non ha alcun tratto in comune con gli eroi che spesso incontriamo, appunto, nei romanzi o nei film, soprattutto se sono espressioni di esigenze commerciali che trascendono la validità estetica di quanto viene mostrato. Questo non vuol dire che un reportage sia meglio di un racconto inventato. Non ha senso stilare graduatorie di questo tipo. Ma è vero che sempre di più, in un periodo storico in cui siamo costantemente illusi di essere connessi con il reale, in genere attraverso supporti tecnologici che non siamo più in grado di padroneggiare, il desiderio di accedere a storie “vere”, di conoscere “vite vissute” sta intercettando un interesse crescente nel pubblico dei lettori. Quindi perché no? Mi piacerebbe tornare ad affrontare queste tematiche, ma non escludo che avvenga attraverso nuove modalità espressive. “Nessun destino è segnato” potrebbe costituire ad esempio una buona base per realizzare un documentario. Vediamo anche cosa il futuro saprà portarci, stilare programmi troppo precisi è il modo migliore per disattenderli, se devo basarmi sulla mia relativa esperienza».

 

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La ricerca, oltre la Sardegna

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La migliore giovane ricercatrice europea è Sarda, si chiama Valentina Sessini, appassionatissima di storia, fin da piccola, ha sempre detto di voler diventare un' archeologa.
 
La mia insegnante delle elementari "Maestra Lisetta" ci raccontava la storia come delle fiabe. Lei era ventriloqua e ci diceva che erano i suoi occhiali che ci raccontavano la storia. Immagino che questo abbia influito nella mia passione per la storia e per diventare archeologa.
 
Una volta arrivata alle medie e superiori aveva sempre piú chiaro che la sua passione era per le materie scientifiche e le lingue. Inizialmente pensava di  di lavorare nella Commissione Europea e fare mediazione internazionale e parlare le lingue orientali e successivamente ha iniziato a immaginarsi come ricercatrice.
 
Valentina ha studiato al liceo linguistico E. Lussu di San Gavino Monreale, dopo il diploma si è iscritta al corso di laurea in scienza dei materiali con sede a Iglesias, Monteponi. La sua passione per i viaggi l'ha portata ad andare all'ETH di Zurigo per fare un lavoro sperimentale per la sua tesi di laurea triennale.
 
Ho scelto scienza dei materiali perché la mia insegnante di biologia mi diceva sempre che se fosse tornata indietro lei avrebbe scelto di studiare queste materie. Leggendo le informazioni relative al corso mi sembrò particolarmente interessante soprattutto per l'interdisciplinarità essendo basato sulla fisica, la chimica e l'ingegneria dei materiali.
 
La Laurea Specialistica Valentina l'ha conseguita a Cagliari, in Scienza e Ingegneria dei Materiali, la sua seconda tesi era basata su un lavoro sperimentale svolto nella facoltà di Fisica.
 
Dopo un anno e mezzo di pausa, alla ricerca di lavoro e studiando musica e lavorando come cameriera (d'altronde come durante tutto il mio percorso universitario) a dicembre 2012 ho deciso di partecipare alla selezione per iscrivermi al master in Chimica Verde dell'Università di Sassari.
 
Durante il master ha fatto due tirocini e inseguito il concorso per entrare a fare il Dottorato in "Ingegneria dei Materiali Innovativi" nell'Università di Perugia, dove ha ricevuto una borsa ministeriale chiamata "Fondo Giovani Ricercatori".
Durante il Dottorato ha fatto diversi periodi all'estero e lavorato in un'azienda come consulente di ricerca e innovazione tecnologica. Nel frattempo ha scritto anche il suo terzo progetto di ricerca per ottenere una borsa Marie Curie all'Università di Alcalà, dove lavora attualmente. 
 
 
Ho sempre lavorato con plastiche ottenute da fonti rinnovabili biodegradabili e non. In dettaglio, ricerco nuove plastiche definite anche "intelligenti" con proprietà come di memoria di forma e piezoelettriche. La memoria di forma è la capacità di un materiale di tornare alla forma originale a partire da una forma previamente programmata grazie all'applicazione di uno stimolo esterno come temperatura, umidità, corrente elettrica, luce, etc. un esempio sono gli stent per le arterie che si mettono piegati perché abbiano piccole dimensioni e si possa evitare la chirurgia per introdurlo nell'arteria e una volta che è nel corpo, grazie alla temperatura corporea diventa della dimensione opportuna (più grande) perchè possa allargare l'arteria e far passare coaguli.
I materiali piezoelettrici invece sono capaci di trasformare uno stimolo meccanico in corrente elettrica e viceversa. Ad esempio premendo o piegando un materiale questo è capace di trasformare quell'energia in corrente elettrica oppure applicando una corrente elettrica al materiale si puó piegare. Un esempio pratico utile per il recupero di energia altrimenti sprecata sono i sensori nelle autostrade che sono capaci di trasformare l'energia delle auto in corrente illuminando la stessa autostrada.
 
 
Nel mese di maggio 2020 il presidente della giuria dell'ambito premio le ha comunicato di essere stata selezionata tra i migliori 3 della categoria postdoc, invitandola all'ESOF2020 a Trieste a Luglio per fare una presentazione sulla  carriera durante la cerimonia dove avrebbero annunciato il vincitore selezionato dalla giuria (jury prize) e quello dal pubblico (popular prize).
 
Per via del COVID, l'ESOF2020 e la cerimonia EYRA sono stati rimandati a Settembre e infine quest'ultima è stata fatta totalmente online (https://www.youtube.com/watch?v=i-xZocVeqQA&list=LLN2hWqe80_tT4VLolTU_iKg&index=2&t=3937s). Dopo le presentazioni dei 3 candidato postdoc, la giuria ha annunciato i vincitori di entrambi i premi, così ho scoperto di essere vincitrice di entrambi i premi. Come si può vedere dal video, io non mi aspettavo nella maniera più assoluta di essere la vincitrice e dopo qualche secondo di incertezza dove ero sbalordita, sono riuscita a tirar fuori poche parole di ringraziamento. Per giorni ho pensato che fosse solo un sogno, meno male che era tutto registrato!!! È stato tutto molto strano essendo stato tutto online e da casa, in più questo riconoscimento è arrivato in un momento della mia vita dove il mio focus era totalmente la famiglia e la mia bimba quindi per me era ancora più inatteso. Ero molto felice perchè finalmente tanti sforzi fatti negli ultimi 6 anni venivano riconosciuti.
 
 
Valentina, oltre che essere una cantante è anche mamma di una bambina di 4 mesi.
 
Ora che sono mamma sarà sicuramente più complicato, però ero arrivata a un punto della vita dove non avrebbe più avuto senso continuare ad avere successi professionalmente sentendomi frustrata per non poter dedicare del tempo a costruire una famiglia che tanto stavamo desiderando da tempo con mio marito. Quindi sono pronta per mettermi di impegno per conciliare queste due sfaccettature della mia vita, la mamma e la ricercatrice. Fino ad oggi sono riuscita a conciliare al meglio la ricercatrice e la cantante, fare la mamma cantando sarà ancora più gratificante.
 
 
Attualmente Valentina vede il suo futuro in Spagna, dove ha tante porte aperte per poter realizzare il suo sogno di ricercatrice. 
La cosa che le manca di più della Sardegna è l'odore del mare. Madrid è al centro della Spagna, il mare più vicino è a 350 km, Valencia, quindi non è semplice andare a fare una passeggiata in spiaggia.
 
 
In Sardegna mancano opportunità e dopo anni fuori credo che il nostro ritmo "tranquillo" nella maggior parte delle persone si trasforma in pochi stimoli per fare cose nuove, per scoprire nuove opportunità e fare nuove esperienze. Ciò che manca alla Sardegna manca anche al resto d'Italia ed è il riconoscimento della professione del ricercatore che a partire dal dottorato non ha un contratto di lavoro e nessuna tutela o diritto.
 
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Nel mio bene c'è quello della comunità

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Oggi vi propongo l' intervista a Maria Chiara Sini, docente di lingua e cultura cinese al Beccaria di Carbonia e presidente dell'Associazione Cina più Vicina, mediatrice culturale. Interprete della Regione Sardegna in occasione della visita del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping del 2016 e rappresentante per l'Italia al forum internazionale della via della seta culturale nel 2018.

Le chiedono spesso da dove nasca il suo amore e interesse per la Cina. Lei risponde dicendo che è ''Un qualcosa di innato''. 

"Credo che il mio amore per la Cina abbia a che fare con l'educazione ricevuta e con l'aria che si è respirata in famiglia, ma anche col dna...io scoprii solo dopo la sua morte che mio padre aveva una fornitissima biblioteca di testi confuciani e di classici orientali in generale e che aveva studiato lingua giapponese e cultura cinese, prima di passare alla carriera militare prima e all'arte poi."

Il suo primissimo contatto con la lingua cinese avvenne alle scuole medie, quando il professore di lettere parlò degli ''ideogrammi'' come sistema di scrittura diverso dal nostro, ma già da prima era rimasta affascinata dai caratteri orientali grazie alle amicizie giapponesi di suo padre. Da ragazzina in effetti iniziò a studiare il giapponese da autodidatta.

Quando le lingue orientali e in particolare il cinese sono diventate l'oggetto dei miei studi universitari, mi colpì tantissimo la somiglianza che io ritrovavo tra i suoni del cinese e il sardo barbaricino, una cosa che mi affascinava, divertiva e avvantaggiava, posso dire.

Più passa il tempo più Chiara si rende conto di quanto vivere e crescere in un ambiente aperto, multietnico e multiculturale sia veramente una ricchezza e faccia la differenza nella formazione dei giovani, futuri adulti. 

Per tantissimi anni ho insistito per l'introduzione del cinese nelle scuole, mi sono battuta in lungo e in largo proponendo corsi e seminari in mezza Sardegna, profondamente convinta che la cultura-e dunque la lingua- del Paese più popoloso al mondo e a più ampia diffusione etnico-culturale mondiale non potesse rimanere per noi un qualcosa di ''graniticamentesconosciuto'' e un pò troppo spesso legato a pregiudizi infondati.
Credo di aver dato il mio piccolo contributo alla creazione delle cattedre di lingua e cultura cinese in Sardegna.

Per Chiara si conosce ancora troppo poco della Cina e dell'Asia in generale. Per questo negli ultimi anni del suo percorso di studi, cominciò a farsi strada nella sua mente l'idea di  fare qualcosa,  per favorire la creazione di un ponte sino-italiano, e ancor più sino-sardo, che non c'era.

Notavo un sempre maggiore interesse nei confronti della ''Cina economica'' e mi risultava incomprensibile come tanti imprenditori e operatori di vari settori potessero pensare di rapportarsi ad un mondo così vasto e complesso senza conoscerne minimamente non dico la lingua, ma gli aspetti culturali e di etichetta fondamentali. Anche perché l'attenzione ai legami culturali è esattamente il modo con cui la Cina si rapporta agli altri Paesi: prima investe in cultura, dopo e solo dopo arriva il discorso economico.

Ecco come nasce Cina più vicina, associazione la cui missione è favorire la reciproca conoscenza fra i due Paesi, con particolare attenzione alla Sardegna, tramite l'organizzazione di eventi e scambi culturali che spaziano da mostre ed eventi (dal Capodanno cinese a mostre, esibizioni teatrali e artistiche) ai corsi di lingua e cultura, a soggiorni-studio e turistici, fino all'attivazione di percorsi di gemellaggio e protocolli istituzionali. Ma ci occupiamo anche del servizio di affiancamento a enti, strutture, istituzioni e privati che volgono lo sguardo al Dragone d'acciaio con servizi di traduzione e interpretariato, mediazione e promozione.

Lo spirito di comunità per Chiara è alla base della sapiente gestione Covid in Cina, quel senso di 'bene comune' e 'comunità' che manca oggi in Italia.

In tanti attribuiscono al ''regime dal pugno duro'' l'efficace gestione dell'emergenza, ma in realtà bisogna guardare molto più alla millenaria filosofia di vita cinese che vede nel senso di comunità uno dei suoi fondamenti: il tuo bene è anche il mio, e se non contribuisco al bene collettivo col mio personale apporto, sto decretando anche la mia distruzione.

Concetti che vengono da lontano, che affondano le radici nel pensiero confuciano e non solo, una sorta di "egoismo intelligente" a servizio della collettività e dell'armonia'. In Cina le famose mascherine, entrate prepotentemente nel quotidiano col Covid, sono d'uso comune da sempre per  non dover ''espandere'' e contagiare il malessere o la malattia agli altri.

Chiara non nasconde che certamente che le misure adottate dal governo cinese sono state più stringenti, ma non è solo questo.

In Cina non c'è praticamente nulla che non si possa fare tramite rete e cellulare, compresa l'assistenza medica. In più la macchina amministrativa è efficacemente distribuita e bene presente in ogni quartiere. Credo proprio che tutti aspetti siano da imitare: se da un lato è difficile pensare di poter assimilare la millenaria disciplina e senso del rispetto comunitario degli asiatici, dall'altro l'efficienza amministrativa, il potenziamento e accessibilità dei servizi online e la presenza locale dello Stato è un qualcosa che è assolutamente in nostro potere fare, oltreché auspicabile e urgente.

Chiara consiglia come prima meta Pechino, la capitale perché è lì che c'è tutto...la storia, la bellezza, la grandezza, la modernità, la tradizione, l'energia, il futuro, la cultura e ''l'anima cinese''.

L'ospitalità dei ''tzieddi'' seduti davanti a casa con le loro sediette che giocano a carte e si dividono il pasto, e, dietro l'aspetto apparentemente 'burbero' rivelano un'indole gentilissima e ospitale, offrendoti birra o 'erguotou', una sorta di acquavite servita in bicchierini del tutto simili ai ''marzianeddi' sardi. Uno degli aspetti meravigliosi del gigante asiatico è che, inaspettatamente, presenta tantissimi lati comuni con la Sardegna: dal cibo (provate a distinguere culurgiones e jiaozi!O ancora, i 'mashi' dai malloreddus, o le gallinelle di pane dai 'miansu') alle tradizioni (usanze matrimoniali e funerarie, danze rituali con maschere terrificanti) per arrivare al senso di ospitalità e spirito comunitario che da noi, ancora, persiste.

Siate egoisti. 'Egoisti' come
i cinesi, che ben sanno e hanno scolpito nell'animo che per realizzare 'il mio bene personale, devo contribuire a quello della comunità'.

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